venerdì 15 luglio 2011

Brava gente? Qualcuno sì. Ma ora, ce n'è uno di meno.






I luoghi comuni che pullulano sulla bocca di molti, sono quanto di peggio si possa perpetrare a danno del sapere collettivo, soprattutto in virtù della mole di sofferenze che hanno creato e continuato a nutrire, nel corso dei secoli. Ma nonostante ciò, continuano a perpetuarsi indisturbati, ed a volte, si ripresentano con una parvenza di saggezza popolare, ed altre addirittura travestiti da "cultura".





Uno dei tanti è quello che recita "Italiani, brava gente!", che tanto inorgoglisce l'italico popolo. Ebbene, l'articolo "La favola degli italiani brava gente", dimostra proprio la fallacia di quel luogo comune, dietro il quale è fin troppo facile nascondersi, per fuggire dalle proprie responsabilità, soprattutto da quelle storiche, di popolo - italiano - che in quanto a guerre, colonialismo e nefandezze varie, nel corso della sua storia (materia semisconosciuta... ostica ai più e quel che è peggio, scritta sempre dai vincitori), non si è fatto mancare niente e non ha proprio nulla da invidiare agli altri popoli guerrafondai, che perlomeno, non beneficiano del "brava gente", associato al loro appellativo.




Da un lato, mi pare talmente ovvio e scontato, che il bene o il male, così come qualsiasi altra aggettivazione possibile in relazione al comportamento di taluni individui, non siano classificabili con il criterio della nazionalità o dell'etnia, da apparirmi banale persino il parlarne, mentre dall'altro - pragmaticamente - non si può evitare di ripeterlo all'infinito, soprattutto in tempi scellerati come questi (dove tra partiti che fanno della lotta allo straniero la loro base ideologica e gente che ha ormai perso, sia il senso della realtà, sia quel poco di umano che con fatica, in millenni, la nostra specie aveva sviluppato) nei quali evidentemente, non è poi così ovvio.




Qualcuno sì, lo era...





Poi esiste per davvero la brava gente, che - proprio perché è tale - viene uccisa a "colpi di mitragliatrice", come è successo domenica scorsa a "Facundo Cabral" - il cantautore argentino, che nel 1966 l'Onu nominò "messaggero di pace" - che a settantaquattro anni è stato ammazzato, in un agguato, a Ciudad de Guatemala.








"Quando l'uomo lavora, Dio lo rispetta.
Ma quando l'uomo canta, Dio lo ama!"
(Facundo Cabral)


Spero mi sarà perdonata questa piccola postilla autoreferenziale, ma mi inorgoglisce, la coincidenza fra il titolo della sua canzone più famosa "No soy de aqui, no soy de alla" (tradotta e cantata in nove lingue) e la frase del mio profilo, poiché sottintendono entrambe, la medesima maniera di intendere la vita, di percepirsi e di rapportarsi ad essa.




CONDIVIDI|
(se ti pare che ne valga la pena...)

Nessun commento: